La raccolta delle olive ha costituito, per qualche anno, un appuntamento fisso: su invito di Emilio, ci recavamo, Fausto ed io, sulle colline del lago di Garda ad aiutare Angelo nella “gravosa incombenza”.
A noi si univano altri familiari e amici, e l’avvenimento assumeva più i contorni di una riunione di famiglia allargata che di una squadra di lavoranti.
Era soprattutto l’occasione per gustare i favolosi gnocchi di patate preparati a proposito, innaffiati da un ottimo vino locale: una festa!
Angelo e la sua compagna abitavano in una antica cascina, splendidamente ristrutturata mantenendo intatte le forme e lo stile originali, ma resa elegante, confortevole e luminosa da mano sapiente.
La casa era circondata da un vasto appezzamento che si estendeva tutt’intorno sulle pendici del monte che guarda sul golfo di Salò, da cui in lontananza si staglia la penisola di Sirmione. Panorama incantevole, che certo non contribuiva a rendere calzante il ritmo dei “lavoranti”.
L’oliveto occupava buona parte del terreno a monte dell’abitazione, collocato su diversi gradoni contava alcune centinaia di piante ben ordinate.
A rendere il ritmo della raccolta tutt’altro che frenetico era la raccomandazione a staccare i frutti a mano direttamente dai rami, anche i più alti, e riporli in sacche che tenevamo appese al fianco: per non “stressare” sia la pianta che il frutto. Questo ci obbligava ad arrampicarci e a districarci tra i rami, non senza il susseguirsi divertito di battute e commenti sull’abilità più o meno “acrobatica” di ciascuno. Poteva così succedere che non fosse sufficiente una giornata per completare l’opera, ma ciò non costitutiva un problema, anzi rinnovava il piacere di una condivisione che ricompensava ampiamente la fatica sostenuta.
Fausto da tecnico, abituato a massimizzare le attività lavorative, non disdegnava rimarcare con accenti ironici la “produttività” di tale metodo sottolineando quanto fossero grate le olive di essere raccolte gentilmente per essere poi maciullate in un frantoio. E lì si scatenava, tra il serio e il faceto, tutta una polemica sul mantenimento degli aromi, sulla naturalità del gesto e così elencando, che contribuiva a dilatare ulteriormente i tempi, interrotta ogni tanto da una poco convinta sollecitazione ad accelerare. E così arrivava sera.
Un anno, ricordo, si decise di utilizzare metodi più “industriali”: gli “abbacchiatori” elettrici a batteria, affittati presso il consorzio agricoltori locale, che imponevano però una preparazione più accurata nello stendere le reti raccoglitrici ai piedi di ciascuna pianta, oltre al rumore degli attrezzi che sovrastava le sempre più timide battute e scandivano un ritmo incalzante quasi senza accorgercene.
Inoltre, assieme alle olive, venivano strappate foglie e rametti che dovevano essere separati, almeno i più grossi, prima di versare tutto nelle casse da trasporto.
Sicuramente i tempi si accorciarono, ma alla fine eravamo tutti più frastornati e un po’ meno allegri.
Ancora una volta mai commento fu più condiviso: “ad ogni progresso si sconta un regresso”.