Qualche anno fa, molto prima della malattia, avevamo raggiunto la cima della Punta Trentapassi, salendo da Zone. La giornata era particolarmente tersa e di fronte a noi si estendeva - a cornice del lago d’Iseo disteso giù in basso, azzurro come il suo cielo - tutto l’arco delle prealpi bergamasche e bresciane e in lontananza il biancheggiare delle alte cime. Non poteva che suscitare meraviglia, immersi in un silenzioso stupore. Ad un tratto Fausto rompe l’incanto: “Mi guardo intorno e mi rendo conto che buona parte delle cime che vedo le ho salite, ne ho percorso i profili” ci pensa un po’ e aggiunge “In una vita”.

Quando abbiamo cominciato a frequentarci la montagna è diventata subito l’altra passione da condividere. Da buon escursionista era in grado di macinare dislivelli di tutto rispetto, di camminare per una giornata intera, ma non aveva mai messo piede su un ghiacciaio. In compenso conosceva innumerevoli percorsi sulle montagne della Val Camonica, della Val Trompia, della Valsabbia che negli anni della pensione ha condiviso con me.
L'occasione di colmare la lacuna si concretizza nell’estate del ‘87. Decidiamo di salire l’Adamello partendo dal rifugio Garibaldi che raggiungiamo nel tardo pomeriggio. La sveglia è puntata per le 5,30: colazione e partenza verso le 6. Purtroppo durante la notte a Fausto monta un forte mal di testa, inconveniente che capitava spesso anche a me – ulteriore elemento di condivisione: le nostre potenti emicranie – ma che quella notte mi ha risparmiato. Mentre consumiamo la colazione sembra che le cose migliorino. Se non va possiamo sempre tornare, non l’ha mica ordinato il dottore, lo rassicuro. Attendiamo una mezz’oretta e decidiamo di avviarci.

Ci precedevano due coppie di alpinisti. Una piuttosto anziana, marito e moglie, l’altra giovane. Giunti in prossimità del passo Brizio la coppia più giovane decide di non proseguire intimidita dalla iniziale difficoltà nell’affrontare le roccette che si dovevano scalare prima di raggiungere le catene che facilitano l’ascesa al passo. Ricordo che il più anziano, che in tutta tranquillità si era già portato di qualche metro più in alto, li rincuorava proponendo loro di legarsi per essere assicurati durante la salita. Niente da fare, visibilmente impauriti decidono di ritornare.
Ci ritroviamo in cima al passo in compagnia della coppia anziana. Lui era un vecchio alpinista, aveva superato i settant’anni, con all’attivo imprese sulle più difficili pareti delle Alpi e non solo, lei ultra sessantenne lo seguiva tranquilla. Noi, quarantenni, non potevamo non guardarli con ammirazione. Ci salutiamo e ciascuno prosegue secondo il proprio passo. E qui la differenza di età si fa sentire. In breve noi guadagniamo il pian di neve, risaliamo l’intaglio che separa il Corno Bianco dalla cresta che porta alla est dell’Adamello che in piacevole scalata superiamo fino in vetta.
Ci godiamo il paesaggio consumando il pasto che ci eravamo portati, qualche foto e ci prepariamo a scendere, a malincuore, nel momento in cui la “vecchia”, splendida coppia si affaccia dalle rocce che delimitano la cima.

 Continua con "I viaggi"