Fausto negli ultimi anni aveva condotto alcune ricerche sulle origini della propria famiglia. Ricerche che l'avevano portato a consultare archivi parrocchiali e comunali di numerosi paesi della provincia di Bologna su fino in Piemonte e poi dell'alta Valle Camonica: tutto per ricostruire il filo che da un antico nucleo familiare lo conducesse fino ai giorni nostri. Un lavoro minuzioso, corredato da documenti originali, fotografie d'epoca, cartografie e tutto quello che contribuiva a ricostruire il profilo della sua famiglia.
Da questa esperienza Fausto aveva acquisito una certa abilità di ricercatore che negli ultimi periodi ha messo a frutto in una pubblicazione che ricostruisce i momenti più importanti della nascita del quartiere, nell'immediato secondo dopoguerra, dove abitò da ragazzo fino al matrimonio, a cui rimase legato per tutta la vita.

Non trovo di meglio che usare le parole che Fausto stesso ha posto a conclusione del suo lavoro, dal titolo "Là dove c'era l'erba", come viatico per tutti coloro che intendessero iniziarne la lettura. ( È possibile scaricare il testo qui)

Lo scritto è accompagnato da un album digitale consultabile cliccando sulla fotografia aerea del quartiere qui a fianco o sul sottomenu "La dove c'era lerba".

"Si dice che sia un vizio o un’abitudine o un segno della vecchiaia il ricorso alla memoria per raccontare gli anni lontani dell’infanzia e della gioventù.
Probabilmente è vero. È questo che capita a chi si ritrova in capo alla sua strada e guarda indietro. Allora il confronto tra presente e passato è inevitabile e bisogna aggiungere che, a dispetto dello sforzo d’essere obiettivi, chiunque si affidi ai ricordi è ben difficile che tiri un bilancio a favore del tempo presente.
Di solito c’è nel suo racconto un velo, anche sostanzioso, di nostalgia e non sa nemmeno lui forse se sia nostalgia della verde età trascorsa oppure malinconia che gli causa lo spettacolo dei giorni recenti.
Ed è abbastanza comprensibile, naturale si può dire, perché chi è vecchio fatica ad adattarsi al cambiamento, soprattutto alle innovazioni tecnologiche che richiedono abilità alle quali non è abituato e anche mente fresca. Ed eccolo dunque pensare agli anni “di allora” e sospirare dentro di sé: “Quanto erano belli”. E aggiunge, senza dirlo: “E non lo sapevamo!”

Sono passati settanta anni da quando siamo arrivati e ci siamo incontrati in quel quartiere che non c’era ma che sarebbe diventato il nostro quartiere e ne sono trascorsi cinquanta da quando ce ne siamo andati anche se tutto riaffiora nella memoria quando occasionalmente ritorniamo, magari per il funerale di un conoscente o per incontrare i pochi amici rimasti.
Tutto è cambiato, come accade, gli abitanti, le botteghe, i palazzi, il traffico, la lingua parlata (non si sente più il dialetto). Solo le vecchie case, rimpicciolite dal contrasto inevitabile con i palazzi del nuovo centro direzionale, sono rimaste a ricordarci il luogo dove abbiamo vissuto il periodo iniziale della vita e gli anni (ruggenti?) della giovinezza. Allora si conceda almeno questo alla vecchiaia : il ricordo e la testimonianza di un periodo(il dopoguerra)di non poco conto nella storia del nostro Paese.
E, ancora, per chi – vecchio o giovane – sia dotato di un pizzico di saggezza, la riflessione che la nostalgia di giorni addirittura remoti non è per forza la condanna del tempo presente. Invece è dettata dall’eco di modelli di un’esistenza,(quella di allora) quantunque modesta anche fino alla povertà, che oggi sente con un poco di rimpianto.
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